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Laureato in Scienze Naturali, indirizza i suoi studi successivi verso l’ambito umanistico divenendo educatore ambientale e, nel 2003, ricercatore in Pedagogia generale e sociale presso l’Università della Valle d’Aosta, dove si occupa di formazione dei futuri insegnanti ed educatori. Negli anni ha rivolto gli interessi scientifici verso ambiti ponte tra le “due culture” costruendo una professionalità specifica nel campo dell’educazione all’ambiente e alla sostenibilità e della didattica delle scienze della vita.
Dal 2001 al 2011, oltre all’attività di ricerca e didattica in ambito universitario, ha ricoperto la carica di Presidente del Parco Naturale della Collina Torinese. Nato nel 1966 risiede da circa quindici anni a Torino, all’ombra della Basilica di Superga.
Ruoli accademici:
Ricercatore universitario (settore scientifico disciplinare M-PED/01 – Pedagogia generale e sociale) presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università della Valle d’Aosta (2003 – oggi).
Co-direttore del corso interuniversitario di perfezionamento “Educazione e natura: ruolo e competenze del professionista all’aperto” (UniMib, UniBo, UniPr, UniVda).
Attualmente, partecipa ai progetti:
È co-direttore della collana editoriale Educazione e Natura (edizioni Junior-Spaggiari, Parma); membro del comitato scientifico della rivista Bambini (Junior-Spaggiari, Parma) e della rivista Culture della Sostenibilità (Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholé Futuro, Torino).
Appartenenza a Società Scientifiche e a Gruppi di Ricerca
Titolo di studio
Altri titoli
La ricerca intende rispondere alle seguenti domande:
[estratto dal Progetto Operativo 2009]
Il progressivo distacco tra città e campagna, tra luogo dove si produce e dove si consuma il cibo, l’affermarsi della dimensione virtuale e on line (guardare la televisione, comunicare e conoscere attraverso chat e blog; comprare, vendere, scambiare su eBay; giocare con i videogame, incontrarsi in Myspace) insieme alla riduzione delle possibilità dei bambini di muoversi e frequentare autonomamente spazi all’aperto, rende il vivere delle esperienze dirette e quotidiane a contatto con l’ambiente rurale e naturale un privilegio sempre più raro. Questa mancanza ha effetti, ormai dimostrati, non solo sui saperi quanto sulla salute e sullo sviluppo dei bambini stessi: obesità, mancato affinamento delle capacità sensoriali (con conseguente impoverimento dell’esperienza umana), nuove paure (di toccare, di sporcarsi, di assaggiare, di avvicinare un animale …), aumento delle allergie, iperattività sono solo alcuni dei sintomi di una diffusa e generalizzata perdita della propria identità ecologica.
La fattorie didattiche (ferme pedagogique, city farm,….), gli agrinidi e gli asili nel bosco (waldkindergarten, …) sono tre tipologie di servizi rivolte all’infanzia nati per favorire lo svolgimento di attività educative all’aperto in un contesto naturale e sempre più orientati alla formazione (all’ambiente, alla sostenibilità, alla convivenza) di cittadini consapevoli di essere parte di un sistema a cui devono la loro sopravvivenza, e capaci di percepirsi come esseri viventi e respiranti connessi con i ritmi della terra, i cicli biogeochimici, gli altri organismi (Ecological identity: Tomashow M., 1996).
In questa logica il progressivo affermarsi in ambito nazionale di tali strutture, la costituzione della rete delle fattorie didattiche valdostane, nonché la possibile nuova attivazione di agrinido e asili nel bosco in Piemonte e Valle d’Aosta sono stimoli, per coloro che si occupano di pedagogia, per contribuire alla definizione delle finalità, delle metodologie, dei contenuti in relazione ai nuovi bisogni e diritti dei bambini.
La ricerca si propone di monitorare la diffusione di tali strutture in ambito nazionale e, attraverso un approfondimento bibliografico e la visita a realtà consolidate e di eccellenza anche estere, di individuare obiettivi e presupposti metodologici trasversali, punti di forza e criticità nelle modalità di gestione, parametri e procedure per la certificazione della qualità delle attività. I risultati, divulgati sotto forma di pubblicazione, contribuiranno alla costituzione di una sistema formativo diversificato e articolato con l’affermazione di nuovi soggetti (gli agricoltori, educatori ambientali, ..), nuovi contesti (le fattorie didattiche, agrinido e asili nel bosco) e specifiche metodologie di lavoro (outdoor education, pedagogia attiva, ….).
Il progetto si propone, da un lato di continuare nell’opera di valorizzazione e promozione del CoDiSV – Corpus Digitale delle Scritture d’ambito Valdostano (www.codisv.it), dall’altro di sovrintendere, raccogliere e presentare i lavori di ricerca in atto e condotti secondo diverse prospettive e settori disciplinari sui materiali documentari del citato archivio digitale, che comprende allo stato attuale le copie di un migliaio di quaderni scolastici redatti in Valle d’Aosta nel periodo compreso tra l’Unità d’Italia e la fine del XX secolo.
Si prevede che gli esiti del progetto vengano pubblicati nella Collana CoDiSV come volume due della serie miscellanea. Il titolo previsto “Stili di vita, stili di scuola. Trasformazioni e cambiamenti attraverso le testimonianze dei quaderni” delinea uno sfondo integratore ampio in grado di accogliere contributi caratterizzati da una analisi dei materiali CoDiSV attraverso un approccio sistemico. Trasformazioni delle pratiche didattiche, dei rapporti alunno/insegnante, dei modi di scrivere, …., spesso sono infatti testimonianza di parallele trasformazioni dei contesti e degli stili di vita. Una ricerca/volume quindi in grado di fornire indicazioni sulle relazioni scuola/società, sulle modalità, i tempi, gli effetti della reciproca influenza, sugli elementi di cambiamento e innovazione così come su quelli di fissità e conservazione.
Il rapporto tra Infanzia e Fumetti può essere inquadrato in diverse prospettive interconnesse. Tra le principali si evidenziano:
1. I bambini nei fumetti;
2. I fumetti per i bambini;
3. Il fumetto come strumento pedagogico.
Attraverso un studio preliminare (Bertolino e Forte, 2011, tesi non pubblicata) è emersa la necessità di approfondire tali prospettive integrando o attualizzando gli studi classici (Bianchi – Farello 1997; Dallari-Farnè 1977; Detti 1984; Ferrarotti – Quaglino 1984; Marrone 2005; Masciopinto 2011; Moro 1991; Prattichizzo – Tirocchi 2005; Ravoni – Riva 1968 e 1972; Volpi 1982;…).
Di particolare rilevanza si segnala che a livello regionale è stata attivata una convenzione specifica tra l’Università della Valle d’Aosta – Université de la Vallée d’Aoste – Dipartimento di Scienze umane e sociali e la Fondazione “Centro di studi storico-letterari Natalino Sapegno” finalizzata ad avviare e consolidare relazioni scientifiche e didattiche e sviluppare attività di studio e ricerca integrate, nel comune obiettivo di favorire la conoscenza, la fruizione, l’implementazione e l’utilizzo didattico della Collezione Mafrica (www.sapegno.it/sapegno/index.php/pagina/23/1/La_Collezione_Mafrica),ricchissima collezione di fumetti e di libri di fantascienza, polizieschi e per ragazzi, nonché promuovere ed approfondire una specifica linea di ricerca sulla rappresentazione dei bambini contenuta e veicolata dai fumetti (bande-dessinées, comic strips, dibujos animados, karikatur,…). Si veda allegato I (approvazione Consiglio di Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Del. n. 145 del 14 novembre 2012).
Nel corso del 2013 il gruppo di lavoro costituito da Serenella Besio e Fabrizio Bertolino (Dipartimento di Scienze umane e sociali dell’UNI-VDA), Bruno Germano e Giulia Radin (Fondazione Centro di studi storico letterari Natalino Sapegno), Carla Micotti Mafrica (referente del lascito Collezione Mafrica), nell’ambito della sopracitata convenzione e grazie al supporto del prof. Enrico Fornaroli (direttore dipartimento di Progettazione e Arti applicate dell’Accademia di Belle Arti di Bologna)e della dott.ssa Erika Centomo(responsabile editoriale fumetti e illustrazionipressoStudioeditoriale Red Whale, consulente presso Fondazione culturale Natalino Sapegno, sceneggiatrice pressoRainbow International), ha elaborato una proposta di possibili attività congiunte (attualmente sottoposta all’approvazione dei rispettivi organi).
Essa si compone di 6 proposte elencate in base alla sequenza di attivazione/realizzazione nel biennio 2014/15 (attività 1: Predisposizione “scaffali virtuali” tematici; attività 2: Strutturazione di un Laboratorio per studenti universitari; attività 3: Collaborazione nella realizzazione del laboratorio “Leggere e disegnare il fumetto”; attività 4: Realizzazione pubblicazione; attività 5: Allestimento di una mostra; attività 6: Progettazione Giornata Mafrica “Per la letteratura popolare” 2015). Per ogni azione è disponibile una scheda di approfondimento.
La presente ricerca si configura come primo momento di un percorso pluriannuale. A tal fine la massima attenzione sarà data:
· alla individuazione, acquisizione ed analisi di materiale bibliografico e didattico nazionale ed internazionale;
· alla raccolta di dati sul rapporto fumetti e Valle d’Aosta (case editrici, iniziative nelle scuole, mostre, soggetti esperti,…);
· alla costituzione di una rete di relazioni scientifiche/accademiche, anche in funzione della creazione di un gruppo di lavoro/ricerca;
· alla costituzione all’interno dell’università/regione di un gruppo di “amici della ricerca”;
· visita a luoghi di eccellenza.
Si prevede la presentazione pubblica della ricerca nell’ambito di iniziative regionali inerenti la tematica dei Fumetti.
Il capitolo intende delineare alcuni elementi che si considerano essenziali nella formazione di operatori – educatori e insegnanti – che possano e intendano promuovere nei propri ambiti educativi interventi didattici pedagogicamente fondati e orientati a riallacciare una relazione con il “fuori” come elemento essenziale del processo educativo, considerando gli spazi all’aperto come ambienti di apprendimento. In particolare, verranno presentati quelli che riteniamo siano i nuclei teorici fondamentali per una comprensione della complessità dell’esperienza all’aperto, che si declina in modi e forme articolate, tali da mostrare l’ampiezza e la ricchezza del fenomeno. A partire da questi, sono state indicate le scelte metodologiche che si delineano alla luce di una disamina della letteratura in merito a possibili modelli formativi, per giungere poi a delineare le caratteristiche e le competenze prioritarie di un educatore che intenda impegnarsi in questo campo. |
Se analizzato in chiave storica, il rapporto tra educazione in senso lato e agricoltura sembra essere da sempre connotato da profonde problematicità che sono un segnale piuttosto forte di quella frattura fra mondo rurale e mondo cittadino che si è venuta a creare in seguito all’urbanesimo che ha caratterizzato in modo radicale la rivoluzione industriale del XIX e XX secolo. I processi di allontanamento dal mondo rurale sono ben lungi dall’essersi arrestati, ma a partire dal nuovo millennio l’atteggiamento ostile e di egemonia nei confronti di quel mondo sembra cessare e addirittura si assiste ad un’inversione di tendenza. L’educazione ambientale, in forte sinergia con altre educazioni volte al cambiamento, prima fra tutte quella alimentare ed ai consumi, è dunque entrata progressivamente in dialogo con un mondo che è diventato portatore di saperi e valori riconosciuti finalmente come importanti.
The construct of play is one of the most variously interpreted, due to its transversal nature in the human experience, which leads it to being the object of numerous areas of study and research (Bondioli, 1996; Manuzzi, 2002; Braga, 2005; Antonacci, 2012; Braga & Morgandi, 2012). Depending on the epistemological perspectives from which it is observed and described, it takes on different meanings and connotations which make its definition simultaneously elusive and ex-tremely diversified.For these reasons, we limit ourselves here to outlining play accord-ing to three attributions. In the first place, we assume its heteroge-neous character, both in the definition and in the forms, ways, actions with which it is expressed. Secondly, we recognize its character of universality, given its presence in the first place in the history of hu-manity, as shown by games which date back to antiquity and even earlier (Fittà , 1997; Staccioli, 2008), then in that of every person, as indicated by the presence of playing at every latitude and longitude, lastly throughout the whole lifespan, starting from the game of smiling between babies and their caregivers (Garvey, 1977). Lastly, we share its being culturally situated, i.e. structured according to values, rules, meanings of a given space and time, of a given social group, of a given community, therefore it is affected in its proceeding and articulation by the conditions that the context makes available to varying degrees.The play to which we refer therefore, corresponds to an element that is connatured in the human experience, of which it is a vital and snecessary part for the development of individuals as well as for that of the quality of their lives and of othersâ lives. In particular, referring to very small children, play is «the physical and behavioural equivalent of oxygen» (Hughes, 2001), that primary mechanism with which chil-dren encounter the world, including the natural one, and which lets them explore it, investigate it, interpret it and reconstruct it, in this way taking possession of it.In parallel, a yearning for nature has also often been indicated as intrinsic to the human experience, summarized in the concept of bio-philia, which means the innate feeling of closeness of man to other living beings (Kellert & Wilson, 1993; Wilson, 2002; Barbiero & Berto, 2016). A number of studies show that children have a strong and deeply rooted sensitivity towards the natural world: in this case too, it is a biologically determined attachment, which nevertheless is articulated in different ways in individuals, depending on various fac-tors, both individual and environmental. In particular, the experience of playing in nature has been shown in numerous surveys and many now classic studies (Hart, 1979; Moore, 1986) as a privileged way for children, which could easily be observed until a few decades ago in everyday experience.The nature to which we refer here is not necessarily wild but cer-tainly authentic. At least of green areas which preserve natural spaces and areas for the needs of children: these places, in this way, keep characteristics of unforeseeability and adventurousness which are necessary qualities to foster childrenâs play. On the other hand, this is much less present in outdoor play areas, which in recent decades have seen a progressive transformation, highlighting above all the dimension of safety and decreasing that of challenge and adventure. If, until that moment, playgrounds had challenging structures, often made of metal and of great heights, since the 1980s this equipment has been gradually replaced by other types in plastic and is generally much lower than the previous types (Hanscom, 2016). All this has led to an impoverishment of the quality of play and of the types of play that children can experience, but, conversely, it today represents an opportunity to rethink of outdoor playing and the relationship with the outdoors.
La necessità di costruire l’incontro, il contatto, la relazione tra bambini e contesti naturali caratterizza, seppur con accenti e sfumature diverse, tutta la riflessione pedagogica, dando origine a molteplici declinazioni esperienziali e specifiche progettazioni educative e didattiche. A partire dall’analisi dei principali contributi che si sono occupati del rapporto tra educazione e natura in ambito pedagogico e didattico (Guerra, 2015), utili a delineare il quadro epistemologico di riferimento, la relazione presenterà i risultati della ricerca diacronica condotta sulla letteratura nazionale ed internazionale finalizzata ad identificare, in funzione di un bambino in continuo cambiamento, significati e benefici di esperienze educative continuative in contesti naturali. Tra le linee di approfondimento che verranno analizzate e discusse, quella che evidenzia come l’esperienza in natura migliori il benessere e la qualità della vita (Louv 2005, 2011; White et al. 2013; Zelenski, Nisbet 2014); quella – all’origine di altri e successivi lavori – secondo la quale l’esperienza in natura sostiene il senso di appartenenza al mondo (Wilson 1993; Kaplan 1995), cui è connessa quella che indaga come l’esperienza in natura stimoli il recupero di consapevolezza ed identità ecologica (Tomashow 1996; Mortari 2001, 2007; Bardulla 2014); quella che individua nell’esperienza in natura un supporto all’incremento di attenzione e concentrazione, riducendo contestualmente lo stress (Hertzog et al. 1997; Faber Taylor et al. 2001; Hafner 2002; Kuo, Faber Taylor 2004; Faber Taylor, Kuo 2006, 2009; Stigsdotter et al. 2010, Bowler et al. 2010; Barbiero 2015; Schutte, Torquati, Beattie 2015) e predispondendo in tal modo favorevolmente alla possibilità di apprendere; quella, infine, che, coerentemente con le precedenti ricerche, indica nell’esperienza in natura un sostegno allo sviluppo cognitivo/emotivo, in genere e in diversi e specifici ambiti disciplinari (Waite, Pratt 2011; Sobel 2008; Constable 2012; Sedgwick 2012; Dadvand et al. 2015).
Scopo di questo contributo è mettere in evidenza come l’attività in natura (simbolicamente materia verde) possa favorire nuovi modi di guardare e pensare (materia grigia in trasformazione), essenziali per destreggiarsi all’interno della realtà che stiamo vivendo. Un contesto naturale come il bosco non è unicamente un buon ambiente educativo perché in grado di supportare esperienze dirette e inconsuete, di stimolare curiosità e spirito di avventura. Non è neanche solo il luogo in cui poter ricostruire più agevolmente l’identità ecologica perduta, intesa come capacità di sentirci connessi con gli ecosistemi ecologicamente produttivi da cui dipendiamo. Questo sarebbe già sufficiente per soddisfare molti di quelli che pensiamo essere i bisogni delle nuove generazioni, ma in realtà l’ambiente naturale offre qualcosa di ancora più prezioso: la possibilità di confrontarci con il sistema complesso che sta alla base di ogni altra complessità con la quale abbiamo a che fare nel quotidiano.
Des 354 bandes dessinées recensées jusqu’à présent, dont les protagonistes sont tous des enfants à l’école, plus de 70%, c’est-à-dire 250 bandes, portait sur « les enfants de papier et les mathématiques ». Les mathématiques, donc, ont été l’un des plus importants sujets parmi ceux identifiés dans les bandes dessinées.
Ces bandes dessinées concernent des situations problématiques au sens décrit par Zan (2002) et Di Martino (2004), parce que la tâche à laquelle les enfants doivent faire face n’est pas strictement interne aux mathématiques et les caractéristiques de l’environnement contribuent à caractériser cette tâche elle-même. Dans de telles situations, les facteurs qui influencent les processus décisionnels d’un étudiant sont définis, dans l’éducation mathématique, des convictions.Cet affiche veut approfondir l’analyse des interactions entre les différentes convictions dans le domaine des mathématiques qui apparaissent dans les bandes dessinées recensées: convictions sur la tâche, convictions sur les mathématiques etconvictions que l’élève porte sur lui-même par rapport aux maths (Di Martino, Zan, 2002 ; Schoenfeld, 1983).
Il valore educativo del mondo rurale: la fattoria come contesto ponte tra bosco e città.
Il settimo World Environmental Education Congress tenutosi nel giugno del 2013 a Marrakech (www.weec2013.org) ha posto sotto i riflettori una problematica ineludibile stimolando una riflessione importante e per certi versi nuova nel campo dell’educazione ambientale (EA): il rapporto tra realtà urbana e realtà rurale. Certo per coloro che si occupano di tematiche ambientali questo è un tema percepito ormai da molto tempo come cruciale, ma a nostro modo di vedere l’EA, solo negli ultimi anni ha iniziato a riflettere sul ruolo che i contesti rurali possono avere nell’ambito dei processi educativi.
Abbiamo quindi tentato di analizzare più a fondo le ragioni di questo interessamento tutto sommato tardivo, per mettere in luce nuove possibili direttrici su cui operare…… [continua]
L’article analyse la nature des processus d’enseignement et d’apprentissage développés par les enseignants valdotaines en vérifiant la présence des orientations transmissivistes ou constructivistes et en essayant d’enquêter sur les différences dans les approches des enseignants en mathématiques et disciplines scientifiques.
Les données utilisées proviennent de la recherche de PRISMA, conduite par le Département de la surintendance des écoles de la Région Autonome Vallée d’Aoste et l’Université de la Vallée d’Aoste par une enquête administrée à l’ensemble des enseignants des écoles primaires et secondaires du premier degré de la région. Les énoncéspermettant de mesurer l’orientation constructiviste ou trasmissiviste des enseignants ont été développés à partir de l’échelle d’attitude proposée par la recherche TALIS (Teaching and Learning International Survey, OCDE 2008).
En utilisant la technique de l’analyse factorielle, à partir des réponses sur ces points, ils ont été extraits deux facteurs qui ont peut résumer dans le concepts des constructivisme et transmissivisme. Les notes factoriels ont ensuite été utilisés pour vérifier l’existence de différentes approches entre les enseignants de mathématiques par rapport à ceux des autres disciplines dans les différents niveaux d’enseignement.
All’interno dei più vasti processi di diversificazione e di multifunzionalità che hanno interessato il mondo agricolo nell’ultimo decennio hanno preso forma in ambito rurale una varietà di servizi educativi rivolti in primis alla scuola ed alle famiglie: le fattorie didattiche, gli agriasili, gli agrinidi e le agritate.
Si tratta di un fenomeno articolato ed in piena espansione nato, da un lato come risposta ad una esigenza interna alle imprese agricole di diversificazione economica, di integrazione del reddito, di occupazione e imprenditoria declinata al femminile, ma dall’altro come soddisfacimento di nuovi bisogni della società attuale.
Viviamo infatti in uno scenario in cui il contesto agricolo da luogo di vita, sostentamento, lavoro condiviso dalla quasi totalità degli italiani ha visto un progressivo diminuire dei suoi occupati fino ad assumere i tratti di uno spazio estraneo, se non per i pochi rimasti o i nuovi tornati. Si è creata una situazione in cui le generazioni di giovani genitori, ed a maggior ragione i loro bambini, sono privi di un ancoraggio alla realtà delle imprese agricole, delle coltivazioni, dell’allevamento.
Una frattura, un senso di estraneità che diventa prioritario recuperare per riconquistare una sorta di identità ecologica che ci consenta di percepire la natura (selvaggia, spontanea, coltivata, addomesticata,…) in relazione con ciò che siamo e che facciamo quotidianamente, di diventare cittadini consapevoli di far parte di un sistema socio-ambientale a cui dobbiamo la sopravvivenza…. [continua]
A partire dall’analisi degli oltre mille documenti contenuti nell’archivio CoDiSV i contributi del volume si propongono di mettere in rilievo gli “stili” che hanno accomunato, con reciproci condizionamenti, la scuola e la società italiana nell’ultimo secolo e mezzo. L’analisi delle interconnessioni esistenti fra canoni didattici, modelli educativi, schemi sociali e circostanze culturali è stata condotta dai diversi autori attraverso l’adozione di differenti tecniche metodologiche e di prospettive disciplinari complementari: con uno sguardo diacronico trasversale, insomma, il volume fornisce un’interpretazione delle molteplici potenzialità costituite dai quaderni di scuola come fonti per la storia della scuola e della società.
I bambini hanno bisogno di natura. Vecchi e nuovi contesti per educare all’aria aperta.
In una sorta di caricatura (cioè nella consapevolezza che si tratta di una raffigurazione in cui vengono accentuate fino al grottesco alcune caratteristiche) i bambini del XXI secolo possono essere definiti come piccoli cittadini digitali iperprotetti.
Si tratta di una generazione caratterizzata da una vita sempre più confinata in spazi chiusi e rassicuranti che vanno dalla scuola, palestra, ludoteca, supermercato fino alle mura di una casa fortezza (Forni 2002; Tonucci 1995). La prima generazione a crescere sin dall’asilo immersa in una dimensione virtuale, le cui chiavi per entrare assumono di volta in volta il nome di x-box, wii, playstation, tablet, I-pad, I-pod, Mp3, smartphone, notebook,… nuovi modi di giocare, conoscersi, comunicare, incontrarsi, leggere, scrivere, comprare.
Ma anche iperprotetti perché sono sempre meno (Volpi 2004), perché cresce la diffidenza verso gli estranei, perché è cambiata la percezione del pericolo fino al punto di venir identificati come Blubble Wrap Generation (Malone 2007) ad indicare quella generazione allevata sin dalla nascita all’interno di un sicuro ed avvolgente imballaggio protettivo.
Sulle implicazioni di essere cittadini digitali iperprotetti si sta sviluppando un approfondito dibattito nel quale i diversi attori sostengono preoccupazioni e danni oppure potenzialità, prospettive e benefici. Comunque la si pensi le esperienze dirette e quotidiane di contatto e di incontro con la realtà concreta, sono drasticamente diminuite e questo ha effetti, ormai dimostrati, non solo sui saperi ma anche sulla salute. Obesità e difficoltà motorie sono certo conseguenza di una dieta sbilanciata, ma anche di una vita sedentaria; il mancato affinamento delle capacità sensoriali va di pari passo con l’impoverimento dell’esperienza umana; emergono nuove paure (di toccare, di sporcarsi, di assaggiare, di avvicinare un animale,…) e sono in forte aumento le allergie; anche l’iperattività può essere inquadrata come sintomo di un diffuso e generalizzato nuovo stile di vita (Bertolino, Piccinelli, Perazzone 2012).
Tra le conseguenze di questo essere cittadini digitali iperprotetti c’è l’allontanamento da quelle che possiamo definire le proprie radici, che sono radici biologiche, ecologiche, evolutive e anche culturali,.. C’è stata da un lato una progressiva perdita di contatto con la natura spontanea(il bosco, l’animale selvatico,…), e dall’altro una vera e propria frattura con la natura coltivata(il campo, l’animale da allevamento,..)……. [continua]
Il capitolo Nuovi servizi educativi per l’infanzia in ambito rurale: agrinidi, agriasili, agritate, a partire da una analisi della normativa di riferimento, presenta nel primo paragrafo alcuni dati quantitativi relativi alla loro diffusione e diversificazione. Si tratta di un fenomeno recente, dinamico ed in pieno sviluppo di cui vengono delineati, non senza difficoltà, i confini e i tratti caratteristici. Viene affrontata, inoltre, attraverso l’esperienza pilota delle Marche, la questione nodale delle forme di supporto organizzativo e finanziario necessarie all’avvio di questi particolari servizi per l’infanzia.
La parte Agrinido: perché e come pone alcune domande di fondo: Cosa diversifica/caratterizza l’agrinido dal nido tradizionale? Quali correlazioni, differenze, specificità, ma anche quali possibili contaminazioni reciproche, in atto e in prospettiva, possono interessare queste “due tipologie” di servizi educativi? E, ancora: Esiste una reale integrazione tra l’agrinido e l’azienda agricola? Queste piste esplorative vengono affrontate attraverso la ricognizione di alcune questioni educative centrali: il gioco e le attività dei bambini, l’alimentazione e il pranzo, gli spazi e i materiali sia esterni che interni, la relazione con le famiglie e la professionalità degli educatori.
Segue una rassegna di situazioni osservate negli agrinido, che esemplificano incontri tra i bambini e la natura, i bambini e gli animali, offrendo in tal modo ancoraggi all’immaginario relativo alla vita che si svolge in questi servizi.
Chiude il capitolo la presentazione di una prospettiva concreta di lavoro in sinergia (ricercatori, agrinido, agritate, organizzazioni agricole,…) nell’ambito del progetto di ricerca dell’Università della Valle d’Aosta denominato Bambini, Natura, Identità. Nuovi contesti formativi per i cittadini del XXI secolo.
Può accadere in fattoria didattica…. verso uno sguardo inclusivo.
La fattoria didattica dà l’opportunità, specialmente agli insegnanti di sperimentare che esistono tanti modi di conoscere, e non ci riferiamo solo ai metodi, ma anche e soprattutto alle idee fondanti che informano la conoscenza.
È un’occasione per maturare la consapevolezza che ciò che si impara a insegnare ai bambini non è un fatto assoluto e imprescindibile, ma è il frutto di un imprinting socio-culturale talvolta tanto condizionante da non far vedere che fuori da quel sistema ci possono essere anche altre possibilità. […]
L’azienda agricola è uno dei luoghi dove iniziano le cose umane, ossia è un luogo di trasformazioni primarie che passano attraverso la vita nelle sue manifestazioni vegetali e animali e nelle sue dimensioni micro e macroscopiche. Spesso non è solo luogo di lavoro, ma anche residenza di una o più famiglie in cui sovente è ancora possibile trovare bambini, adulti e anziani insieme. Gli ambienti sono variegati, dall’aperto al chiuso, passando per portici e rustici. In un’azienda agricola si applicano
le tecnologie più varie, da quelle più primitive della zappa e simili, a quelle più pesanti, meccaniche e mastodontiche, a quelle più sofisticate, legate all’informatica e alla robotica, da quelle chimiche e inorganiche a quelle biologiche. In un’azienda agricola ci sono odori, profumi, bagnato, asciutto, caldo, fresco, pulito, sporco, vecchio e nuovo. In un’azienda agricola si vede nascere e allattare e si vede anche morire, c’è chi domina e chi è dominato. Insomma c’è proprio un po’ di tutto, una realtà a tutto
tondo che può funzionare rispetto alla scuola come una specie di mezzo di contrasto, in grado di stanare i risultati di un modello scolastico ancora troppo nozionistico e trasmissivo e contemporaneamente di suggerire e facilitare un approccio cognitivo complesso….. [continua]
Fino agli anni ’30 e ’40 la vita rurale e l’esperienza della campagna erano strettamente legate alla realtà quotidiana dei bambini. Alcune frasi estrapolate dai quaderni delle elementari dell’epoca sembrano appartenere addirittura a un’altra era: «Noi abbiamo vendemmiato su alla vigna e io sono stato a staccare e lo zio portava giù» oppure «Io nel pomeriggio vado ad aiutare alla Mamma a spargere il letame” (CodiSV, 1932; 1941).
Già negli anni ’70 l’esperienza dell’agricoltura si era ridotta ad argomento e oggetto di studio, e per farla conoscere occorreva uscire dalla scuola e andare dal contadino, spesso il papà o il nonno di un bimbo della classe.
Oggi, i bambini vengono accompagnati in strutture appositamente organizzate per accogliere gruppi: le “Fattorie didattiche”.
This chapter looks at the experiences of teacher education at the primary level. The authors start with acknowledging the impact that increasingly urbanized environments are having on the lives of children. Life is dominated by computer culture and virtual worlds, and play and movement tends to be rigidly structured. Experiences in nature are becoming less frequent for children, and so are their possibilities for autonomous movement (on foot, by bicycle), for choosing one’s own friends and for freely organized play. At the same time, few courses in environmental education appear in university curricula, and those that do are often considered as add-on courses, often of a normative and prescriptive character. If a more ecological approach in education is needed, then teachers at the primary level have, perhaps more than at any other level, the possibility of developing a more holistic approach to learning in which science education can be an important tool in reconnecting people with nature. This raises important questions with regard to teachers’ knowledge and their formative experiences. Drawing on the methodological foundations described in Chapter 6, this chapter describes activities in which the life and earth sciences can provide the context for raising the perception of oneself in relation to a deep interdependence with nature. Direct experiences in nature and a refl exive approach develop awareness of natural systems’ capacity for self-regulation and of the multiple impacts of human actions. A refl ective dialog is therefore initiated with beginning teachers on the potential for learning that is embedded in outdoor activities: these can become the nucleus for the organization of sustainable curriculum and pedagogy in primary education toward a scenario in which children can become effective constructors of sustainable worlds.
Quale spazio è riservato all’educazione ambientale nei percorsi formativi universitari? Quanto il mondo accademico si è preoccupato di inserire questa dimensione educativa nei curricola? Nello specifico che tipo di formazione dei formatori in ambito di educazione ambientale viene proposta a livello universitario? Per chi come noi vede nell’educazione ambientale un ambito formativo trasversale, in grado di fornire un contributo prezioso tanto agli insegnamenti disciplinari, quanto ad interi percorsi educativi dalla scuola materna fino all’università, queste domande assumono un interesse particolare che ha anche a che fare con le proprie motivazioni professionali (Bertolino, Perazzone, 2004).
Partendo da questo tipo di motivazione, nel 2004, è stato avviato un percorso di ricerca che ha portato all’individuazione di una quarantina di insegnamenti e di una sessantina di docenti che dal 2001 ad oggi hanno tenuto corsi di Educazione ambientale sparsi in più di quaranta dei 90 atenei italiani. Questi risultati, presentati al Terzo Congresso Mondiale dell’Educazione Ambientale, tenutosi a Torino nell’ottobre del 2005, hanno in sostanza confermato la significatività della ricerca. Ha preso quindi il via un approfondimento dell’istantanea rilevata nel 2004/2005 attraverso una serie di interviste ai docenti individuati e dichiaratisi disponibili. Questo articolo, e quello contenuto nel numero successivo della rivista Cultura della Sostenibilità (Bertolino F., Messina M., Perazzone A., Salomone M. (2007), Reti relazionali e mappe concettuali dell’educazione ambientale nell’università italiana, in Culture della Sostenibilità, n. 2/2007, Franco Angeli, Milano, pp. 61-86), rappresentano quindi l’analisi e la restituzione dei risultati dell’indagine complessiva. Qui viene descritto l’approccio metodologico ed i dati relativi all’offerta formativa delle università italiane in relazione all’Educazione Ambientale, nel successivo contributo (grazie all’analisi delle domande dei questionari a risposta chiusa e delle interviste) i diversi approcci all’insegnamento, le reti di rapporti con il territorio e con la comunità scientifica, gli interessi e le linee di ricerca, le attese per il futuro dei docenti.
L’educazione ambientale e più in generale le tematiche connesse alla società sostenibile possono rappresentare per la ricerca e la didattica universitaria un ambito di confronto tra settori ed un’area di reciproco sconfinamento. Il lavoro che portiamo avanti si propone di cogliere questa opportunità, ampliando il dibattito a quella parte del mondo, non solo accademico, interessata ad avviare nuovi percorsi di ricerca trans-disciplinari ed ad iniziare un ripensamento dei curricula in un’ottica di sostenibilità.
L’ambiente naturale è sicuramente un ambiente educativo privilegiato entro cui lavorare per aumentare la consapevolezza della propria identità ecologica e sviluppare un approccio sistemico alla realtà. Occuparsi di educazione ambientale, costruire progetti educativi che abbiano come finalità la trasformazione della relazione con l’ambiente, significa attivare e gestire simultaneamente tre sfere: quella delle conoscenze ambientali, quella dei valori e quella delle competenze educative. Lo sviluppo di una professionalità specifica e l’affermarsi di nuovi sbocchi professionali stimola ad interrogarsi sulle risposte formative offerte in ambito universitario.
Ultima revisione: 08/04/2024 |
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